“Io non mi considero nemmeno un artista. Faccio il cameriere part-time perché nel nostro sistema sociale ci hanno insegnato, o dovrei dire inculcato, che con l’arte non si mangia!”
Esordisce così nella conversazione Luca Verardi, fotografo tarantino classe ’94, che stiamo intervistando in qualità di vincitore del Ragusa Foto Festival, sezione “Young Photographers From Italian Academies”, un contest al quale hanno partecipato i migliori studenti di fotografia e arti visive delle più prestigiose accademie italiane. Tra i tanti, indiscutibilmente ottimi lavori, “Cuore di Cane” di Luca Verardi è quello che più ha stregato la giuria del Festival, presieduta da nomi di spessore del panorama artistico italiano, come Gianluigi Colin, critico d’arte e capo cover editor de ‘La Lettura’ del Corrieredella Sera, Alfredo Corrao, docente UniTO e fotografo del Ministero della Cultura, Enzo Gabriele Leanza, rappresentante della SISF, Società italiana per lo Studio della Fotografia.
Luca Verardi è attualmente studente presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, ma la sua formazione artistica proviene da Bologna, città dove si è formato per cinque lunghi anni tra portici caldi, notti intense e frenetiche, vita universitaria sregolata. I suoi scatti arrivano dritti in faccia, carichi, senza filtro, eppure creano un ponte emotivo con lo spettatore-fruitore.
“Cuore di Cane”, il progetto vincitore del Ragusa Foto Festival, è particolarmente prezioso come lavoro. Trattasi del resoconto di una relazione di coppia molto intima, sentita e passionale. Sopra ogni fotografia c’è incisa con pennarello una poesia scritte da Luca stesso. Confusione, piacere, baci rubati, sguardi incrinati, letti e luci, volti incantati, questa è la narrazione di “Cuore di Cane”. Il tutto in un bianco e nero potente e preciso, come un colpo portato da un pugile professionista, che però non manda al tappeto, ma fa riflettere sulle conseguenze dell’amore.
“La cosa più bella,” continua Luca “è che durante la premiazione a Ragusa, un cameriere che serviva piatti di prelibatezze siciliane mi ferma e mi dice ‘ho mandato le tue foto e le tue poesie a una persona con cui mi ero lasciato in modo terribile e non ci parlavo più da anni. Adesso ci stiamo scrivendo di nuovo’. Credo sia un piccolo miracolo, questo, forse la cosa migliore che abbia fatto in vita mia”.
“Sono abbastanza contento. Confuso, ma contento. La forma espressiva che ho trovato per ora è abbastanza nuova per chi la guarda e io sono contento di farla. Se sei contento di fare qualcosa di innovativo è già un gran risultato.”
“Confusione totale a livello personale, umano. Però è ok e mi servirà. Penso che la creazione possa avvenire solo attraverso la distruzione: norme sociali, qualcun’altro, te stesso. Sulle macerie faremo crescere campi di rose”.
“Bipolare. Da una parte c’è chi ancora continua ad affermare che l’arte sia solo ciò che è bello, che fa sospendere dalla visione del mondo che ci circonda e ci deve astrarre, dare bellezza. Dall’altra parte della barricata troviamo il contenuto estremizzato, senza forma curata. Ecco, bipolarismo. Tutte le arti in sé si sono staccate sempre di più dalla comprensione della realtà per arrivare all’astrazione piena. O si rappresenta l’interiorità dell’artista, quindi il vuoto; o l’arte in quanto arte, quindi tecnica, quindi vuoto. Richard Mosse, Antoine D’Agata, Michael Ackerman… loro sono i grandi che uniscono il contenuto a una forma innovativa. Le due cose dovrebbero andare di pari passo”.
“D’Agata e Ackerman sicuramente. Entrambi portano un’estrema soggettivazione dell’arte, raccontano quello che hanno dentro, ma osservando e testimoniando quello che c’è fuori. Sintesi totale, a mio modo di vedere le cose.”
“Gli ruberei il coraggio. Entrambi hanno avuto tanto tanto coraggio. D’Agata soprattutto, è sceso al punto più basso dell’essere umano prima di diventare di fatto un artista. Per i dogmi sociali di gioventù e bellezza sono arrivati tardi al successo. Loro non fanno cose belle, pulite, estetiche, volutamente vendibili. Loro hanno cercato di smarcarsi dalla bellezza come virtù borghese. Hanno ricercato una forma personale che oltrepassa quello stereotipo e comunque hanno spaccato”.
“Penso che questo dualismo non sia solo il mio ma di tutti noi. Credo che la rappresentazione di una realtà bella, colorata, sia finzione. Così come cercare la disperazione e sfruttarla a tutti i costi è orribile, penso a quei fotografi che vanno appositamente tre, quattro giorni in contesti disagiati e scattano due rullini di bambini svenduti, tossicodipendenti e frontiere di guerra ma non approfondiscono le esistenze dei soggetti, bensì sciacallano e basta. Io provo ad arrivare alla realtà delle cose, che a volte è terribile. La realtà che ho vissuto io a volte è terribile ma è bellissima. Negli esseri umani che ho visto per strada, che dormono sotto i ponti, ho visto santità, nobiltà. Cosa che non ho visto in altri mondi più edulcorati. Ma non è manco questo. Credo che il succo sia andare dentro le cose.”
“È che l’ho vissuta. Non ho messo su un set per raccontare una storia d’amore tragica. Ci sono passato io sulla mia pelle. Sono stato molto innamorato, ho sofferto tanto, ho cercato di raccontarlo. Bisogna condividere il dolore”
“La mia docente di Bologna mi disse che l’arte underground non esiste perché non è riconosciuta dalla critica. Quindi mi sentii moooolto piccolo e inutile. E avere vinto in un festival che celebra i migliori studenti delle accademie, proprio io che studente convenzionale e standard non lo sono, mi ha fatto sentire bene. Si può fare. Ma la cosa più bella resta la storia del cameriere del catering che raccontavo prima. Ecco quello è l’obiettivo: entrare dentro altre persone, riuscire a rendere l’Io Creante potabile, accessibile a tutti.”
“La rabbia di venire da un posto splendido ma che altre persone, che non appartengono a noi, hanno decretato che deve, doveva, dovrebbe essere soltanto una città di provincia, quando abbiamo tutto per diventare un posto fantastico. Credo accomuni me e tante persone di Taranto, questa rabbia”.
“Sì. Mi piacerebbe far vedere alle mie mamme, quella biologica e quella urbana, che so fare qualcosa di buono nella vita”.