Il successo delle sue opere è trasversale e totale, nel senso che non puoi osservarle e restarci indifferente. I suoi quadri ti colpiscono tanto di precisione quanto di potenza. Perché prima vieni stregato dalla tecnica meticolosa, ossessiva, al limite della follia. Quei chiaroscuri, quei dettagli, la vena che sgorga dal piede destro, le rughe. Come fa ad essere così preciso?, ti viene da chiederti. Poi, oltrepassata la questione puramente tecnica, arriva la potenza che ti colpisce in pieno volto e ti fa sbandare, come un gancio alla tempia ben assestato. I soggetti che rappresenta ti suggestionano, ti impauriscono, ti trasportano nel suo mondo e nella sua visione delle cose. Ci leggi delle storie potenziali dentro, delle trame quasi, e ti chiedi come sia possibile che una sola immagine ti riesca a raccontare così tanto.
Roberto Ferri è un indiscusso talento dell’arte contemporanea. È nato nel 1978 a Taranto, ha frequentato il locale liceo artistico Lisippo, ed ha proseguito gli studi trasferendosi a Roma nel 1999, dove approfondisce la sua ricerca per la pittura antica, specializzandosi su Caravaggio e sugli autori cosiddetti accademici (David, Ingres, Girodet, Géricault, Gleyre, Bouguerau). Si laurea all’Accademia di Belle Arti romana nel 2006, con il massimo dei voti, ma ha già iniziato ad esporre le sue opere da qualche tempo.
Visita diverse gallerie, vince qualche premio, i suoi lavori approdano in Texas e poi al Palazzo Vecchio di Firenze. Nel 2007 la consacrazione: in contemporanea con la mostra “Giotto e il Trecento” al Complesso del Vittoriano viene allestita la sua personale, dal titolo “Roberto Ferri – beyond the senses”, che lo lancia definitivamente nel panorama degli artisti di rilievo. Da lì è un’escalation di successi, da menzionare a onor di cronaca la sua personale alla 54esima Biennale di Venezia, la collaborazione con la celebre serie TV Gomorra dove suoi quadri sono apparsi in diversi episodi, le mostre curate da Vittorio Sgarbi.
Oggi Roberto Ferri è un artista di chiara fama. Ha collaborato con Magnum per la realizzazione di alcune immagini legate al 700esimo anniversario di nascita di Dante Alighieri, creando l’iconico bacio sempiterno tra Dante e Beatrice. Gode di una visibilità immensa, contando oltre 600mila follower su Instagram, tra cui diverse personalità del mondo del cinema, dello spettacolo e dello sport.
Scrive di lui Vittorio Sgarbi: “Roberto Ferri accende il mio orgoglio. Non ebbi dubbi sulla qualità della sua pittura, intesa anche come proprietà di esecuzione. Nessun dubbio che le opere chiamassero stupore e meraviglia secondo i precetti dell’estetica barocca. Ma Ferri era un contemporaneo e per di più giovanissimo. Colpiva in lui la borgesiana indifferenza per il tempo. Come se si dicesse: se devo dipingere, devo dipingere bene, altrimenti meglio fare il pasticcere, o, anche, come molti raffinati (da Giulio Paolini a Damien Hirst), il vetrinista. Ecco: una cosa possiamo dire di Ferri: non è un vetrinista. Eppure è adatto alle vetrine, ama esibirsi ed essere esibito. Ci tiene a essere riconosciuto virtuoso. E’ un pittore esclamativo, senza timore di essere Pompier”.
In una splendida intervista (che si trova online sul sito di RAI cultura) Ferri racconta la sua idea di pittura, di arte, ed esordisce con la frase virgolettata in questo paragrafo.
“Ho iniziato a dipingere guardando mio nonno e mio zio che dipingevano tutto il giorno. Dipingevo sui fondi delle cassette di legno dei pomodori. Ero circondato da libri, libri d’arte, e lì sono arrivate le mie prime influenze come Velasquez, Rivera, Caravaggio”. Continua spiegando un po’ i contenuti della sua pittura: “le figure sfigurate che metto in scena sono la riflessione dei demoni della vita quotidiana, che vengono codificati in una forma come la pittura ma sono vicissitudini ed esperienze di vita. Forme demoniache, deformazioni del corpo, sono deformazioni dello spirito che esprimo attraverso la pittura. L’aspetto surreale è legato sempre alla deformazione dell’anima, come se ci fosse una bolla che non scoppia, che si deforma in alcuni punti e che non riesce mai ad esplodere”.
Sarebbe meraviglioso, se unendo le forze tra cittadini, istituzioni e associazioni che si muovono nel mondo dell’arte, si riuscisse a portare una permanente di Roberto Ferri a Taranto. Tanto il MarTa, quanto il MuDi (Museo Diocesano), avrebbero tutti i presupposti per garantire a Ferri gli onori della patria. In effetti, per quanto la riconoscibilità mondiale sia un attestato di successo totale e definitivo, essere glorificato e omaggiato in casa propria è quello che forse rende più felici. E se non altro, anche se così non fosse, la comunità tarantina deve assolutamente offrire i giusti tributi a questo grande artista. Capace come pochi suoi contemporanei di unire sacralità e pulsioni intime, surrealismo e razionalità, inconscio e bellezza ultraterrena.